Monday, October 27, 2014

ARTEMISIA GENTILESCHI

I want to share with the readers of scostumista some pictures of my latest work in theater.
  Artemisia Gentileschi
directed by Mirko Di Martino
with Titti Nuzzolese and Antonio D'Avino
costume designer:Annapaola Brancia d'Apricena
produced by Teatro dell'Osso


                                                                                                         photo:Marco D'Alessandro Photo49

Nel diciassettesimo secolo c'era un detto che circolava sulla bocca dei numerosi viaggiatori stranieri che visitavano Napoli: secondo costoro, la città era “un Paradiso abitato da diavoli”. I turisti stranieri erano affascinati dalla bellezza di Napoli e, allo stesso tempo, atterriti dalla violenza della vita che si conduceva in quella che, all'epoca, era la seconda città più popolosa d'Europa. Eppure, Napoli continuava ad essere una fucina di talenti artistici, una città che ribolliva di creatività e di arte, un centro di scambi e di influenze artistiche di primo livello che metteva in comunicazione il Mediterraneo con il resto d'Europa. Il Forum Universale delle Culture insieme con il Teatro dell'Osso, con la direzione artistica di Mirko Di Martino, propone quattro giorni di spettacoli, reading e concerti dedicati alla Napoli del Seicento e ai grandi artisti che la abitavano: Caravaggio, Artemisia e Carlo Gesualdo. L'antica città partenopea rivive attraverso il racconto delle grandi opere e delle vite di questi geni turbolenti e “maledetti” che, nella prima metà del Seicento, fecero di Napoli la capitale della cultura europea.

 Artemisia resta, ancora oggi, una figura molto misteriosa, su cui si sa relativamente poco. Quello che essa fu davvero lo si può ricostruire in parte dalla lettere riemerse di recente, dalle quali viene fuori l'immagine di una donna sicura del proprio ruolo, una pittrice consapevole della propria arte, una commerciante che vende e promuove la propria opera con sfacciata sicurezza. Ne vengono fuori, però, anche le sue debolezze, il suo desiderio di un amore vissuto intensamente, la sua gelosia e le sue paure. A Napoli si conserva il dipinto più famoso di Artemisia, quel "Giuditta e Oloferne" che faceva impallidire i suoi contemporanei per la crudezza della rappresentazione; a Napoli, Artemisia visse trent'anni e morì in un giorno imprecisato del 1653. Ma quali tracce ha lasciato Artemisia a Napoli, oggi? Molto poche. Il nostro spettacolo parte da qui, da Napoli, dove Artemisia si è rifugiata molti anni prima: la pittrice è alla fine della sua carriera, stanca, disillusa. Senza alcuna spiegazione apparente, Artemisia viene costretta da un magistrato a raccontare ancora una volta i particolari di quel giorno del 1612 quando il pittore Agostino Tassi, amico e collega di Orazio Gentileschi, la violentò nella sua casa romana. La donna credeva di aver chiuso i conti con quella storia al termine del processo che condannò Agostino Tassi per stupro, ma scopre adesso che tutta la sua vita e la sua stessa opera ne sono state segnate troppo in profondità. Artemisia è obbligata a confrontarsi con le sue paure, i suoi dubbi, i suoi desideri di gloria, di affermazione di sè come artista prima che come donna. In un mondo dominato dai maschi, Artemisia scopre che le è preclusa ogni libertà e autonomia. Perfino la sua arte viene interpretata come un continuo ritorno sul tema della violenza e della vendetta, dello stupro e della castrazione. Artemisia credeva di essere diventata libera grazie all'arte, adesso scopre che era la sua prigione.


Fitting
Judith beheading Holofernes
Museo di Capodimonte-Napoli

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