L’associazione Aptitudeforthearts presenta il nuovo progetto Quasi Nessuno di Matilde Cassani, designer e artista la cui ricerca da anni opera al confine tra architettura, installazioni e performance.
Nata come iniziativa di arte sul territorio dedicata alla valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale del Vercellese, Aptitudeforthearts conferma con questo secondo episodio la volontà di sostenere la ricerca artistica femminile invitando artiste di diversa generazione e provenienza a riflettere sul paesaggio della risaia e a immaginare un intervento liberamente ispirato alle sue storie. Per la stagione 2023 l’invito è stato esplicitamente pensato in relazione alla possibilità di agire nel contesto naturale, entro un circondario ampio e generoso che abbracciasse la vastità della risaia, oltre il confine di uno specifico manufatto architettonico.
Quasi Nessuno è la risposta di Matilde Cassani il cui sguardo indaga la risaia come fenomeno socio-antropologico prima che estetico. L’artista e designer, nel corso delle ricerche svolte in situ, si è soffermata infatti sulla progressiva rarefazione della figura umana nel paesaggio agricolo, sempre meno abitato da corpi e sempre più attraversato da racconti, storie di comunità scomparse, voci di fantasmi che echeggiano dietro le colline, il comparire e lo scomparire dell’acqua sempre meno abbondante, il nidificare degli aironi che segnano il passaggio delle stagioni. Chi oltre a questa fauna abita questi luoghi? Quasi Nessuno. Il tema del progetto si snoda allora attorno a questa semplice domanda che porta Matilde Cassani a discutere su quello che lei stessa definisce “il miraggio di un uomo”, la sua presenza isolata tra gli animali, il suo essere un animale tra i tanti, fragile come gli altri che subiscono gli effetti del cambiamento climatico dove sovrana regna la signora Siccità. Cassani trasforma la risaia in un universo fiabesco, popolato di figure visibili, echi di chi non c’è più, comparse sfuggenti che si intravedono all’imbrunire. Qui ha infatti sognato di veder comparire qua e là una compagnia di spaventapasseri.
Personaggio magico, favolistico non privo di una dimensione legata al fantasmagorico, lo spaventapasseri è una immagine che unisce l’antico con il contemporaneo, figura sacra e insieme fantoccio del presente, metafora concreta della idea di efficienza della natura, figura diversa, vestita di stracci e stranezza che accampa la sua bizzarria entro una ricchissima letteratura legata soprattutto alle innumerevoli traduzioni e infiniti adattamenti del celebre romanzo di L. Frank Baum, Il meraviglioso mago di Oz, pubblicato per la prima volta a Chicago nel 1900. Quasi uomo (o quasi donna?), pupazzo (o bambola?) al confine tra realismo e immaginazione, politicamente interpretato come il simbolo della classe agricola, lo spaventapasseri è un dispositivo visivo, un oggetto pauroso, detto anche spauracchio, tradizionalmente un manichino da vestire in modo “strano”, “diverso” e comunque capace di indurre alla fuga il volatile attraverso indumenti bizzarri. Anche solo da questi brevi accenni sembra chiaro quanto lo spaventapasseri incarni la dimensione della paura, della diversità, della problematica relazione che si instaura tra essere umano e essere animale all’interno di un paesaggio naturale dove il primo coltiva la terra e il secondo se ne ciba e viceversa. Lo spaventapasseri in questo senso interpreta in chiave post umana il tema della cura del territorio, abbracciandone ogni possibile traduzione nel campo del vivente. Isolato e spesso in silenzio questo “vivente”, non più solo donna né solo uomo ma diventato comunità, si tiene compagnia nel paesaggio lunare della risaia che, secolo dopo secolo, ha assistito stagionalmente alla trasformazione del sistema agricolo.
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